IL SUO ARRIVO a Parigi ha avuto l'effetto di una granata lanciata nel mezzo del mercato dell'editoria. Lui ha un bel dire che «la reazione del mondo editoriale francese nei miei confronti è stata davvero aperta e generosa». Aggiungendo di avere incontrato una quantità di editori che lo hanno «aiutato a capire meglio la prospettiva francese». Ma quando un super agente editoriale come Andrew Wylie, noto per le sue qualità di predatore e per il soprannome poco cortese di "sciacallo", irrompe in un luogo chiuso come l'editoria francese, gli editori sollevano gli scudi e i giornali attaccano. Cosa vuole Wylie a Parigi? Una cosa sola: cambiare le regole del gioco.
L'uomo che ha fatto d'oro Philip Roth e gli eredi di Italo Calvino, l'agente ai cui sforzi Max Sebald confidò di dovere la «pace creati va» dei suoi ultimi anni, e il fondatore e presidente di un'agenzia letteraria con sede a New York e Londra che rappresenta quasi tutto il meglio della letteratura e della saggistica internazionale, da Salman Rushdie a Roberto Calasso, da Martin Amis a Saul Bellow, passa da un po' di tempo a Parigi «quaranta ore al mese, incluse quelle di sonno», con l'intento di espugnarne la roccaforte del diritto d'autore.
Questo perché in Francia le cose funzionano diversamente da altrove. Gli scrittori che hanno un agente sono pochissimi. I più si lasciano rappresentare all'estero dai propri editori parigini, i quali negoziano per loro traduzioni straniere, edizioni tascabili e diritti secondari come quelli di riduzione cinematografica, teatrale, radiofonica e cosÌ via. Salvo evidentemente non essere molto efficaci, se si considera quanto insulare e poco valorizzata sia la cultura francese fuori dei suoi confini.
Stanco di sentirsi dire dagli editori americani che «in Francia non succede niente», un anno fa Wylie comincia a muoversi. «Avevo visto una situazione simile in Scandinavia, dove gli editori controllano i diritti globali dei loro autori ma non hanno successo nel promuoverli internazionalmente. E ho pensato che avremmo potuto cercare di liberalizzare un po' il sistema, lasciare aperta la porta, spalancare tutte le finestre. Naturalmente gli Stati Uniti sono la piattaforma ideale per la promozione dei diritti internazionali; ma curiosamente il mercato americano, sebbene sia il più forte in termini di ricavi, è ben lontano dall'essere permeabile alle influenze culturali e intellettuali straniere. Per cui una parte importante della nostra strategia è cercare di abbattere quelle barriere».


Wylie nel suo studio di New York. Foto Alex Majoli

Andrew Wylie lavora principalmente nell'ufficio della Wylie Agency nella Cinquantasettesima Strada a New York. A 59 anni portati con leggerezza, i capelli sottili pettinati all'indietro e gli occhi chiarissimi e ironici, somiglia più a un banchiere che a un agente letterario. E invece è un intellettuale. Non perché si sia laureato a Harvard in letteratura francese o perché da ragazzo si sia fatto cacciare dalle case editrici newyorkesi dichiarando di leggere Tucidide al posto della narrativa contemporanea. Ma perché la fredda arroganza che distingue i suoi modi, anche quando sono affabili, nasce dall'essere in primo luogo un lettore esigentissimo, e, cosa inaudita per un americano, molto interessato a culture diverse. Non a caso racconta spesso di avere scelto il mestiere di agente letterario per trovare una soluzione alla domanda: «Come faccio a leggere quello che mi piace e allo stesso tempo guadagnarmi da vivere?».
La risposta che ha trovato gli ha permesso di non rinunciare a Tucidide. Ha cominciato con una scrivania in affitto nell'ufficio di un agente caduto in disgrazia, ha aperto la Wylie Agency a New York nel 1980 e la sede di Londra nel 1996; nel 1994 ha conosciuto il suo primo momento di celebrità internazionale quando ha venduto L'informazione di Martin Amis per 500mila sterline. Qualche anno dopo La terra sotto i suoi piedi di Salman Rushdie arrivava a un milione. Cifre fino ad allora impensabili per uno scrittore di qualità letteraria. Philip Roth racconta che quando tornò a vivere in America dopo una lunga parentesi a Londra e incontrò vari agenti per sceglierne uno, fu preso da diffidenza nei confronti di quell'uomo così sicuro di sé sulla cui scrivania non c'era nemmeno un pezzo di carta. Ma oggi ammette di dovere proprio a lui la serenità economica che gli ha consentito di scrivere i suoi libri migliori. Ryszard Kapuscinski, invece, da polacco spartano, pensava che Wylie fosse il demonio in persona. L'agente - che neppure lo rappresentava - gli aveva telefonato a Varsavia all'epoca della guerra del Golfo per offrirgli un milione di dollari in cambio di un reportage su quel conflitto. «Lei capisce?», raccontava il vecchio reporter di guerra nel suo studio di Prokuratorska. «Offrirmi qui, al telefono, in Polonia, una cifra simile, e non capire di mettermi in pericolo!».


Con Holly Peterson

Ma se la spavalderia un po' spaccona di Andrew Wylie può ispirare diffidenza, la sua intelligenza affilata come una lama è sempre un'arma molto seduttiva. Perdere un'ora a chiacchierare con lui nel suo ufficio significa aprirsi a una miniera di idee e sfide editoriali, mentre lui ti strizza con garbo la mente con le sue mani diafane per spremerne le informazioni che potrebbero essere utili al suo lavoro. È divertente, Wylie: è spiritoso, arguto, se vuole simpaticissimo, e alla fine tra i due è lui quello che ha preso più appunti. Ha una moglie italiana che si chiama Camilla e «viene dalla capitale mediterranea di Brooklyn», tre figli, ottimi rapporti di lavoro con l'Italia e una simpatia professionale molto spiccata per l'energico direttore generale della Mondadori Gian Arturo Ferrari, che si diverte a chiamare «Giannissimo».
Ma non tutti lo amano. Una vecchia autorità dell'editoria internazionale come André Schiffrin lo ha recentemente attaccato su «Le Monde» accusando lo di aver contribuito a cambiare l'editoria in peggio, per mettere in guardia i francesi dal suo canto di sirena. In effetti alcune strategie introdotte da Wylie possono esser considerate a doppio taglio, negli anni Ottanta della cultura di massa reaganiana, è riuscito a convincere gli editori che spendere molto per un libro di qualità alla lunga rende di più che investire la stessa cifra in un bestseller commerciale di breve durata. Un'impresa rivoluzionaria. E il suo colpo da maestro è stato dimostrare a un mercato usa e getta come quello americano che il catalogo di un grande autore, la backlist, non è un peso ma una ricchezza sfruttabile a lungo. Più un editore spende per un titolo, sostiene Wylie, più si darà da fare per venderlo. Ma questo, scrive Schiffrin, significa portare le case editrici a concentrarsi solo sui libri pagati cari, abbandonando al loro destino gli altri, spesso più interessanti.


Con Arthur Schlesinger

«Schiffrin difende i propri interessi nel dar voce a certe opinioni. Non le trovo ammirevoli e quel che è peggio non trovo l'uomo affatto divertente!», contrattacca l'agente. «Sono d'accordo che gli editori operano all'interno di budget definiti, e selezionano i loro investimenti libro per libro, o serie per serie. Ma il programma della nostra agenzia è di incoraggiarli a investire più saggiamente, pagando di più per libri che dureranno di più». Qualche tempo fa, mentre sorseggiavamo acqua minerale nel salottino del suo ufficio di New York, mi raccontava che Antoine Gallimard è l'editore francese che ha capito e gestito meglio le sue intenzioni. Altri hanno alzato barricate. «Ho dovuto incontrare parecchi avvocati, e avevano tutti un romanzo nel cassetto - rideva -. È incredibile quanto scrivano gli avvocati in Francia!».
Quanto ai cinque autori nel frattempo conquistati sul territorio francese, i primi quattro si chiamano Christine Angot, Philippe Djian, Jean Hatzfeld e Florence Hartmann, e come si conviene, non sono ancora molto conosciuti internazionalmente. Il quinto invece non ha bisogno di un agente per farsi pubblicità, perché il suo nome è Nicolas Sarkozy e «a differenza del presidente Bush sta lavorando intensamente per aprire il suo Paese al mondo esterno, per modernizzare», dice Wylie. Già: per chi è tentato di votare alle prossime primarie, tra Barack Obama e Hillary Clinton, Mr Wylie? La risposta, come sempre, arriva alla velocità della luce: «Per Al Gore».

www.wylieagency.com